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Giugno 17, 2014
 

Riflessione dell'équipe Caritas per ripartire da questo tempo sospeso

In questo tempo sospeso, tempo di attesa, dove il futuro per tutti è incerto e per molti è un presente segnato da dolore e difficoltà economiche e sociali, è difficile pensare a quale sarà il luogo che ci accoglierà. La sospensione ci ha trovato impreparati ad una riflessione sulla vita, sedimentando un profondo sentimento di angoscia, paura ed incertezza.

Se vogliamo riprendere il largo dobbiamo prima ritrovare il contatto con la nostra precarietà, la superficialità delle nostre relazioni, la fragilità del nostro stile di vita, con la dimensione della morte, solo percorrendo questa strada faticosa riusciremo a recuperare il senso di cosa andiamo cercando: abbiamo bisogno di immaginare uno scenario futuro, un orizzonte a cui tendere, capace di accogliere gli orizzonti di ciascuno di noi.

Questo tempo ha fatto affiorare una profonda disuguaglianza sociale; in una sua recente riflessione lo scrittore Erri De Luca ha usato questa immagine: .

Eravamo già malati, prima del Covid-19, la pandemia si chiamava “egomania”, i sintomi semplici da diagnosticare: la mia felicità, quella della mia famiglia della mia “cerchia”, viene prima e a discapito di qualsiasi cosa.

Per fortuna il vaccino esiste già, ma deve essere attivato da chi oggi viaggia nei vagoni di prima classe: fare spazio all’altro per desiderare un futuro che contempli la dimensione del noi, una possibilità di felicità per tutti.

Una volta usciti da questo isolamento forzato, che ci ha destabilizzati, impauriti, messi a nudo davanti a noi stessi e alle nostre relazioni, ognuno con le proprie fragilità, sarà bello e fondamentale tornare a guardarsi negli occhi, sapersi ascoltare per capire come immaginare insieme un tempo nuovo.

Saremo capaci di metterci tutti in cammino sentendoci ospiti e non padroni di questa terra? Solo chi si sente ospite è capace di ospitalità, capace di fare spazio all’altro, alle sue aspettative, ai suoi sogni e bisogni ed in quelli riconoscersi fratello.

In cammino verso il nuovo orizzonte saremo capaci di prenderci cura gli uni degli altri, senza distinzione di legame, razza, status, appartenenza? Anche la nostra chiesa si ritrova oggi più fragile, faccia a terra, ma con il vivo desiderio di rimettersi in cammino insieme a tutti gli uomini: è arrivato il momento di levare le tende, smontare il campo, rinunciare a qualche sicurezza e riprendere la strada.

In questo momento di incertezza e allo stesso tempo di rivelazione, dove nessuno conosce l’orizzonte dell’umanità, la chiesa può solo guardare a Gesù per imparare a stare accanto agli uomini, per non essere “organizzazione”, ma luogo che accoglie, occasione di relazione vera che condivide la fatica e moltiplica la gioia.

La chiesa guarda a Gesù che non ci abbandona nella tempesta, che tiene il passo degli ultimi, che non giudica la nostra fragilità, ma la prende su di sé per farci camminare più leggeri, scoprendo che deve fare ancora molta, molta strada, ma nella certezza che non sarà mai sola. Senza paura deve prendere posto in fondo alla fila, per essere certa che nessuno resti indietro in questo lungo cammino, per offrire un sostegno concreto a chi oggi è ancora più fragile ed in difficoltà.

La comunità, oggi più che mai, si costruisce nel fare spazio, offrire fiducia, cedere potere, favorire la corresponsabilità del cammino, solo così potrà dare buoni frutti, frutti di amore per tutti noi.

L’unico orizzonte possibile sarà quello che riusciremo a desiderare e a raggiungere insieme!

 
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